CURE PARENTALI

Secondo che le femmine abbiano abitudini sedentarie o tendano a spostarsi su ampi territori, i maschi assumono atteggiamenti territoriali o preferiscono disperdersi seguendo le femmine nel loro peregrinare: in ogni caso l’allevamento della prole è quasi sempre a carico delle femmine, che con l’allattamento sono ulteriormente vincolate alla prole. Ciò succede anche perché nei sistemi a fecondazione interna la paternità non è mai certa, e per un maschio di mammifero è più conveniente utilizzare tutte le opportunità sessuali che gli si presentano piuttosto che correre il rischio di allevare una prole non sua.

di Antonio De Marco, ricercatore biologo evoluzionista, appassionato di etologia e docente universitario, che ha fondato e gestisce il Parco Faunistico di Piano dell’Abatino

 

Oggi si viene al mondo, almeno in quella parte della Terra che può godere di un elevato grado di benessere, tra camici bianchi e culle seriali, con un braccialetto al polso che ci garantisce l’identità. Che dire allora delle nostre antenate del Pleistocene (circa un milione e mezzo di anni fa), che partorivano in solitudine o con l’aiuto di qualche donna, in genere la madre o la sorella, attente a fare tutto in fretta e per quanto possibile silenziosamente, per non destare l’attenzione dei possibili predatori? Rispetto a quel lontano passato la sfida connessa alla sopravvivenza degli infanti è stata ampiamente vinta, risultando fortemente incrementata la loro possibilità di raggiungere l’età della totale indipendenza dagli adulti e quindi la loro possibilità di riprodursi.
Non molto dissimile deve essere invece rimasto il legame che lega ancora oggi la madre al bimbo, così come il desiderio di partecipare alle cure del piccolo da parte delle parenti più strette della donna o di qualche sua amica, legata a lei da un sentimento di reciproco aiuto.

 

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In questo quadro di prime cure parentali non si è fatto cenno al ruolo maschile, in quanto esso risulta di più complessa lettura. Il rapporto con la propria progenie da parte dei maschi è molto differenziato nel regno animale e, limitando l’attenzione ai vertebrati, possiamo dire che un elemento importante di discriminazione è connesso al tipo di fecondazione che precede lo sviluppo dell’embrione. In genere quando la fecondazione avviene esternamente, ed è il caso dei pesci e di molti rettili, il maschio tende a prendersi cura dei nuovi nati, vuoi perché è più certo della paternità, vuoi perché la femmina, rilasciate le uova, ha il tempo di allontanarsi mentre il maschio è ancora intento nell’opera di fecondarle, vuoi infine perché le uova deposte nel territorio del maschio suscitano in lui un istinto alla difesa ed una predisposizione alle cure parentali che si intreccia con l’esigenza di difendere il suo territorio.

Negli uccelli, in cui la fecondazione è interna, le cure dei nidiacei sono prevalentemente svolte da entrambi i genitori; in genere, il maschio aiuta la femmina nella ricerca del cibo e nella preparazione e custodia del nido, risultando la sopravvivenza dei piccoli fortemente incrementata dall’unione della coppia. Il sistema nuziale è prevalentemente di tipo monogamico ma con una buona frequenza di relazioni extraconiugali. I maschi hanno una maggiore tendenza a sostare nel luogo di nascita, mentre le femmine si disperdono più frequentemente. In questo quadro, queste ultime sono più propense a scegliere il proprio compagno sulla base della bontà del territorio che egli difende, e quindi delle risorse che porta in dote: quando queste sono di elevata qualità le femmine sono disposte, pur di occupare quello spazio ambito, ad accettare un certo grado di poliginia, condividendo il territorio con altre femmine. Questa scelta può essere favorita dal fatto che esse hanno avuto difficoltà a trovare altri maschi scapoli o anche perché sono state ingannate da un maschio territoriale che, fingendosi solitario, a loro insaputa, si sta prendendo cura di un altro nido, posto a qualche centinaio di metri di distanza. Si può anche ipotizzare che una femmina intavoli una relazione con un maschio attraente, che fa già coppia con un’altra femmina, per ritrovarsi con una prole da allevare da sola ma i cui maschi, simili al loro padre, siano talmente ambiti da darle in futuro più nipoti rispetto a quelli ottenuti da femmine monogame.
Anche se le cure dei nidiacei vengono il più delle volte svolte da entrambi i genitori, può succedere che uno dei due abbandoni il campo: questo è in genere la femmina. Non è raro il caso in cui i maschi si sobbarchino lo stesso onere della cova e della successiva cura della progenie, come accade nei ratiti (emù, nandù, struzzi), nei caradridi o nelle jacane.

Nei mammiferi il sistema nuziale prevalente è quello poliginico, con casi di monogamia obbligata quando le femmine sono disperse in un territorio troppo ampio da permettere al maschio di assicurare la loro difesa e il loro controllo. In questo caso può accadere che i maschi contribuiscano alle cure parentali, come avviene nelle uistitì, in cui i piccoli sono trasportati da entrambi i genitori, o nell’oreotrago, in cui il maschio interviene per difenderli da possibili predatori, o nel licaone in cui egli partecipa alla loro nutrizione. Se le femmine vivono in gruppo i maschi si contendono l’accesso ai loro favori; il vincitore spesso uccide i piccoli generati dal maschio spodestato. Secondo che le femmine abbiano abitudini sedentarie o tendano a spostarsi su ampi territori, i maschi assumono atteggiamenti territoriali o preferiscono disperdersi seguendo le femmine nel loro peregrinare: in ogni caso l’allevamento della prole è quasi sempre a carico delle femmine, che con l’allattamento sono ulteriormente vincolate alla prole. Ciò succede anche perché nei sistemi a fecondazione interna la paternità non è mai certa, e per un maschio di mammifero è più conveniente utilizzare tutte le opportunità sessuali che gli si presentano piuttosto che correre il rischio di allevare una prole non sua.

Questo modello viene osservato in molti primati: la distribuzione delle risorse condiziona il grado di dispersione delle femmine e questo determina a sua volta la dislocazione dei maschi. La monogamia tra i primati si realizza quando le femmine vivono in zone scarse di cibo, per cui la loro disgregazione facilita la raccolta, rendendole solitarie (alcuni gibboni, lemuri e scimmie africane e sudamericane). La cura della prole è prevalentemente a carico delle sole madri, anche se sono presenti nei maschi atteggiamenti di difesa dei cuccioli: questo comportamento viene interpretato come una subdola forma di corteggiamento rivolta alle femmine da parte dei maschi, piuttosto che una loro vera propensione ad interessarsi dei piccoli.

Ritornando ai nostri antichi antenati, si può supporre che la cura dei bambini fosse realizzata dalle madri che, vivendo in gruppo, si assicuravano reciproco aiuto e protezione Gli uomini stavano loro appresso, ai margini, nella speranza di un approccio amoroso, accontentandosi del cibo raccolto dalle donne e occasionalmente cercando di mettersi in evidenza con l’esibizione di qualche trofeo di caccia, da svendere sul terreno delle convenienze sessuali. La vita di coppia era costituita da storie d’amore a termine e da numerose relazioni adulterine. Le madri si sobbarcavano la cura dei numerosi figli nati dalle varie relazioni e, se erano particolarmente attraenti, erano oggetto di continue attenzioni da parte dei maschi.

Gli uomini si trovavano nella insolita necessità di rivolgere il loro corteggiamento non solo alle madri ma anche ai loro figli, nella consapevolezza che il giudizio di questi ultimi poteva fortemente influenzare la benevolenza delle madri verso di loro. In tal modo i piccoli di ominide riuscivano ad influenzare la scelta delle madri e a far si che la selezione sessuale potesse operare nel favorire padri affettuosi ed attenti, pieni di attenzione, propensi a giocare con loro. Così nell’intreccio che si è avuto tra corteggiamento e cure parentali, si è andata selezionando col tempo quella figura di padre moderno, con forti legami affettivi verso i propri figli che ci avvicina, tra i primati, alle minuscole uistitì, e che non ci fa escludere che in un futuro la selezione possa ulteriormente spingerlo a prodigarsi nelle cure parentali arrivando, chi sa mai, anche a poter allattare i propri piccoli!

Sui diversi temi affrontati in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche libri
  • Sulle cure parentali e sui sistemi nuziali esiste un’ampia letteratura. Nell’ambito dell’ecologia comportamentale un testo di riferimento importante rimane il libro di J. R. Krebs e N.B. Davies Ecologia e comportamento animale, Torino, Bollati Boringhieri Editore, 2002, pp. 483
  • Ugualmente stimolante è la lettura del testo di John Alcock, Etologia. Un approccio evolutivo, Bologna, Zanichelli Editore 2001
  • Per gli aspetti connessi alle cure parentali nell’uomo una lettura fondamentale è data dal testo di I. Eibl-Eibesfeldt, Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento, Torino, Bollati Boringhieri Editore, 1998 (e 2001), pp. 566